MIOCARDITE NEL CANE


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Il termine miocardite si riferisce a un disordine infiammatorio del muscolo cardiaco.
La miocardite è una delle patologie più complesse da diagnosticare e meno conosciute tra le affezioni del miocardio nel cane e nel gatto, per la grande diversità di presentazione, evoluzione e prognosi.

L’incidenza di miocardite nella popolazione canina è difficile da stimare per diversi motivi: il quadro di miocardite e la prognosi sono molto variabili (la miocardite non sempre è causa di morte) e la diagnosi post-mortem viene effettuata in un numero ridotto di soggetti.
Pare che alcuni casi di cardiomiopatia dilatativa possano essere esito di pregresse miocarditi.
In letteratura si fa riferimento nella maggior parte dei casi a quadri sintomatici in soggetti con marcate alterazioni macro e microscopiche in sede autoptica.
Poco conosciuta è la prevalenza di forme subacute lievi e la loro evoluzione nel tempo. Nella maggior parte dei casi l’agente eziologico, soprattutto nelle miocarditi linfocitiche, non è identificabile istologicamente nel tessuto miocardico.

La medicina umana si affida alla biopsia endomiocardica (BEM) per la diagnosi, in medicina veterinaria invece c’è una scarsa applicabilità in vivo di un esame istopatologico del muscolo cardiaco e quindi la diagnosi di miocardite rimane problematica e unicamente presuntiva.
La diagnosi si basa sostanzialmente sull’anamnesi e sui rilievi clinici, la BEM viene raramente effettuata nel caso del cane e del gatto.

La diagnosi clinica di miocardite è molto difficile sia nell’uomo sia negli animali poiché i sintomi sono comuni a varie patologie non esiste un segno clinico patognomonico (anoressia, diarrea, dolore muscolare, febbre, tosse).
La storia clinica può aiutare nella diagnosi: la concomitanza di improvvise anomalie cardiache (aritmie, astenia, insufficienza cardiaca congestizia, intolleranza all’esercizio, sincope, morte durante un’anestesia o morte improvvisa) e di una patologia infettiva può far supporre al Medico Veterinario la presenza di una miocardite.

Spesso la miocardite è conseguente ad infezioni della cavità orale e delle prime vie respiratorie o a infezioni gastrointestinali, a interventi chirurgici o a esposizione recente a farmaci o agenti tossici.
Per questi motivi la sintomatologia iniziale è aspecifica e diversificata: possono esserci affaticamento, artralgia e mialgia, eritemi, febbre, sintomi gastrointestinali e respiratori.
Questo periodo iniziale può durare da qualche giorno a diverse settimane, segue poi la fase acuta accompagnata da sintomi cardiovascolari molto variabili, che vanno da una lieve dispnea e dolori intercostali ad aritmie gravi e shock cardiogeno.

L’esercizio fisico rappresenta un fattore che può palesare una problematica cardiaca anche grave.

Alla visita clinica l’auscultazione cardiaca e polmonare può essere nella norma, oppure evidenziare aritmie, soffi e rumori polmonari anomali come crepitii.
L’elettrocardiogramma può presentare diverse alterazioni.
Nonostante nessuna di queste aritmie risulti specifica, il riscontro anche di una sola di queste deve focalizzare l’attenzione del clinico sull’organo cuore, così da programmare ulteriori accertamenti diagnostici mirati.
Tra questi è da ricordare l’esame Holter, che consente di valutare la frequenza cardiaca e gli eventuali fenomeni aritmici nell’arco delle ventiquattro ore.
L’indagine è completata dalla radiografia toracica. In alcuni casi può non presentare alterazioni significative, mentre in altri può evidenziare le anomalie cardiache conseguenti allo stato infiammatorio quali cardiomegalia, congestione venosa ed un pattern alveolare e/o interstiziale suggestivo di insufficienza cardiaca congestizia.

L’ecocardiografia è la metodica diagnostica non invasiva che fornisce maggiori nformazioni riguardo il miocardio e la contrattilità nei soggetti con sospetto di miocardite.
Al pari degli altri accertamenti diagnostici non invasivi, l’ecocardiografia può risultare normale o evidenziare alterazioni aspecifiche.
Altamente predittivo di miocardite è un quadro ecocardiografico caratterizzato da disfunzione sistolica ed ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro con segmenti ipocinetici o ipocinesia generalizzata.
Ulteriori riscontri utili ai fini della diagnosi sono gli ispessimenti focali o diffusi del miocardio accompagnati da alterazioni dell’ecogenicità, conseguente ad infiltraticellulari e all’edema interstiziale.
Occasionalmente può essere presente versamento pericardico. Il ruolo fondamentale dell’ecocardiografia è inoltre quello di escludere altre patologie cardiache che potrebbero essere responsabili del quadro clinico.

Negli ultimi dieci anni la medicina umana prevede anche l’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca (CMR) che offre un’alternativa ai test diagnostici invasivi (come la BEM) e gioca un ruolo fondamentale nella diagnosi precoce.
Grazie alle nuove tecniche di CMR è, infatti, possibile identificare segni di edema, iperemia e necrosi del miocardio, consentendo quindi di effettuare una diagnosi grazie alla valutazione delle immagini ottenute secondo criteri precisi.

Gli esami di laboratorio in caso di sospetto di miocardite includono sempre la valutazione dei livelli sierici di troponina I (cTnI), attualmente utilizzata in medicina veterinaria.
La cTnI è un indicatore sensibile e specifico di danno miocardico in quanto è parte integrante del complesso troponina che si trova normalmente nel sarcomero delle cellule miocardiche e la sua presenza in circolo dimostra quindi un danno cellulare.
La concentrazione sierica della cTnI inizia a salire dopo circa due ore circa dall’insulto miocardico, raggiungendo il picco dopo dodici/ventiquattro ore.
Livelli elevati di cTnI indicano morte cellulare, e non sono specifici di infiammazione miocardica.
Tuttavia, livelli sierici di cTnI notevolmente aumentati, accompagnati ad un quadro clinico relativamente poco specifico, sono una buona base per emettere una diagnosi presuntiva e precoce di miocardite acuta.
L’utilità diagnostica della cTnI nei casi di miocardite cronica è invece relativa.

Si utilizzano i test sierologici per ricercare l’agente eziologico alla base dell’infiammazione e intraprendere una terapia mirata.
Gli agenti infettivi più comunemente responsabili di queste forme sono Toxoplasma, Borrelia, Rickettsia, Bartonella e Leishmania.
La BEM è considerata una procedura molto invasiva per gli animali d’affezione. La superficie campionabile è ridotta, in relazione al peso dell’animale, ed i campioni possono risultare inadeguati.
La determinazione della PCR di aspirati tracheali con ricerca di RNA virale, potrebbe risultare una possibile metodica diagnostica attendibileve poco invasiva.

Al momento si può dire che le diverse manifestazioni cliniche e la mancanza di test diagnostici specifici e poco invasivi costituiscono il principale ostacolo per una diagnosi precoce.

La gestione del paziente con miocardite è strettamente dipendente dalla gravità del quadro clinico, dai rilievi strumentali e dall’agente eziologico scatenante.
In pazienti in cui è evidente la comparsa improvvisa di sintomi, occorre una valutazione cardiologica approfondita con RX torace, ecocardiografia ed ECG, con le analisi del sangue specifiche per marker di danno miocardico, il cTnI di cui si è parlato prima e un profilo sierologico esteso: babesia, erlichiacanis, toxoplasma gondii ecc.

Il riposo e la riduzione dell’esercizio fisico sono fondamentali e rappresentano una terapia efficace quanto quella farmacologica.

Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ace inibitori), anti fibroticie protettori del miocardio, agiscono riducendo la cascata infiammatoria, il rimodellamento cardiaco e la conseguente fibrosi.
Con disfunzione sistolica e insufficienza cardiaca congestizia, l’aggiunta di diuretici quali Furosemide e Spironolattone sono necessari per ridurre il sovraccarico del ventricolo sinistro e contrastare la fibrosi.
L’aggiunta di un inotropo positivo per migliorare la contrattilità muscolare dipende dal quadro clinico: solitamente il pimobendan viene associato alla terapia diuretica e all’ ace-inibitore.

In Inghilterra è stata introdotta da poco la preparazione iniettabile, che potrebbe rappresentare un’ importante opzione terapeutica in soggetti con marcato deficit sistolico e shock cardiogeno.

I beta-bloccanti migliorano l’ossigenazione del miocardio e presentano uno spettro antiaritmico relativamente ampio, ma devono essere usati con cautela, soprattutto quando è stato identificato un deficit contrattile. In soggetti con uno stato emodinamico instabile e una cinetica compromessa potrebbero peggiorare la funzione sistolica con insorgenza di insufficienza cardiaca congestizia.

L’utilizzo di glicosidici quale la digitale è sconsigliato in soggetti affetti da miocardite, in quanto è stato osservato un aumento delle citochine infiammatorie, un peggioramento del danno miocardico e del quadro aritmico in soggetti affetti da miocardite linfoplasmacellulare.

L’utilizzo di pacemaker in caso di bradiaritmie associate a disfunzione del nodo del seno e/o del nodo atrioventricolare è consigliato per ridurre il rischio di morte improvvisa causata da asistolia.

Quando è possibile identificare la causa della miocardite infettiva, occorre una terapia mirata a eliminare l’agente eziologico per ridurre il danno miocardico diretto.

Sia in Medicina umana, sia in Veterinaria, è controverso l’utilizzo di farmaci antiinfiammatori immunomodulanti, come i cortisonici: viene consigliato in patologie su base autoimmune o in caso di eccessiva risposta infiammatoria sistemica da parte del sistema immunitario dell’organismo, mentre è fortemente sconsigliato nella fase di miocardite acuta in cui l’agente patogeno è in replicazione all’interno del miocardio.

In passato la miocardite da parvovirus CPV-2 ha rappresentato una delle miocarditi virali più documentate, caratterizzata da necrosi e lisi cellulare, associata o meno a un infiltrato infiammatorio. L’agente eziologico si trova all’interno dei nuclei cellulari dove si osservano caratteristici corpi inclusi. La patologia ha un decorso iperacuto e la morte avviene improvvisamente o nelle prime ventiquattro ore.

Nel cane, la leishmaniosi viscerale rappresenta la manifestazione clinica più frequente: il danno a diversi organi dipende dalla replicazione del parassita ma anche a una risposta immunitaria esuberante che porta alla deposizione di numerosi immunocomplessi nei tessuti.
Gli immunocomplessi tendono a localizzarsi frequentemente a livello renale, delle articolazioni e dell’ uvea, determinando così quadri clinici molto variabili. La vasculite associata a leishmaniosi è stata evidenziata a carico di diversi distretti dell’organismo e quindi anche del miocardio, tuttavia la localizzazione del patogeno a livello miocardico non è frequente.
Di recente si è visto che la concentrazione ematica di Troponina I è aumentata nel 40% dei pazienti affetti da leishmaniosi: questo potrebbe indicare un coinvolgimento miocardico più diffuso di quanto ipotizzato in precedenza.

Gli emoparassiti trasmessi da zecche, babesia, borrelia ed ehrlichia sono responsabili di miocardite e, più raramente, di alterazioni del ritmo
Il decorso clinico del coinvolgimento cardiaco è di solito autolimitante e si interrompe nel momento in cui viene identificata e trattata la causa primaria.
Con un quadro clinico riferibile ad emoparassitosi si deve escludere o confermare la positività a questi agenti eziologici con esami sierologici.

Casi di miocarditi focali linfo-plasmacellulari vengono riportati in letteratura a carico del nodo AV, non associate a un agente eziologico identificabile.


Vicla Sgaravatti

Medico Veterinario

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Categorie: CaniSalute

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