IO SONO UN GATTO di Natsume Sōseki, 1905

“Io sono un gatto”, pubblicato per la prima volta nel 1905 in Giappone e tradotto e pubblicato in italiano solo nel 2006, è un romanzo raro, che ha per protagonista un gatto, filosofo e scettico, che osserva distaccato un radicale mutamento epocale. È anche uno dei grandi libri della letteratura mondiale, la prima opera che inaugura il grande romanzo giapponese all’occidentale.

All’inizio fu pubblicato su una rivista letteraria di haiku, il suo autore non aveva alcuna intenzione di proseguirne la stesura ma, visto l’immediato successo, prolungò il romanzo di undici capitoli.

“Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È lì che per la prima volta ho visto un essere umano. […] Che creatura curiosa, pensai, e quest’impressione di stranezza la conservo tuttora.”

L’inizio del libro potrebbe trarre in inganno e fare pensare che il gatto sia il protagonista della storia, dato che racconta i dettagli della sua venuta al mondo. Si scopre che è stato brutalmente separato dagli altri micetti e dalla mamma. Un umano non meglio identificato lo ha buttato via. Ha potuto salvarsi e sopravvivere selvatico e randagio. Successivamente, è riuscito a trovarsi una casa. Non è stato né adottato né accolto: la sua presenza è stata “tollerata” presso la dimora del professor Kushami. Per questo non gli è mai stato dato un nome. Gatto e basta. Nessuno gli vuole bene, nessuno lo apprezza o si prende cura di lui. Esiste, semplicemente, e solo sporadicamente gli umani si degnano di concedergli del cibo e di interagire con lui. Ciò lo predispone negativamente verso la razza umana e gli permette di coglierne l’egoismo innato. Al tempo stesso, il disinteresse manifestatogli, gli consente di avere una notevole libertà, che lo porta a gironzolare per il quartiere di Tokio nel quale la storia è ambientata e a intrufolarsi di soppiatto nelle case di coloro che intende spiare. A scopi puramente scientifici, si intende.

Il Novecento è appena iniziato in Giappone, un’era sta per concludersi dopo aver realizzato il suo compito: restituire onore e grandezza al paese facendone una nazione moderna.
Il potere feudale diventa un pallido ricordo del passato, così come i giorni della rivolta dei samurai e l’esercito nipponico contende vittoriosamente alla Russia il dominio del continente asiatico.

Per la maggior parte del tempo i gatto osserva gli umani con cui vive, in special modo il suo padrone e i suoi amici. Il romanzo risulta essere una critica satirica dei così detti intellettuali giapponesi, o per lo meno di coloro che credono di esserlo.

Il professore Kushami, insegnante di inglese, si atteggia a grande studioso e quando torna a casa, si chiude nello studio fino a sera uscendone raramente. Di tanto in tanto il gatto va a sbirciarlo e puntualmente lo vede dormire: il colorito giallognolo, la pelle spenta, una bava che gli cola sul libro che tiene davanti a sé. Quando il professore non dorme si cimenta in bizzarre imprese: compone haiku, scrive prosa inglese infarcita di errori, si esercita maldestramente nel tiro con l’arco, recita canti nel gabinetto, tanto che i vicini lo hanno soprannominato il «maestro delle latrine», accoglie esteti con gli occhiali cerchiati d’oro che si dilettano a farsi gioco di tutto e di tutti raccontando ogni genere di panzane, spettegola della vita dissoluta di libertini e debosciati… Insomma, mostra a quale grado di insensatezza può giungere il genere umano in epoca moderna…

Il gatto osserva e giudica i suoi padroni e gli amici che vengono a trovarli a casa, riflette sulla natura umana, confrontandola con quella felina, fa disgressioni sulla filosofia cinese e su quella greca.

“In questo genere di studi, se non si sfruttano I momenti di turbamento emotivo, non si ottengono risultati. In tempi normali la maggior parte della gente è del tutto banale, non vale la pena né di osservarla né di ascoltarla. Nei momenti cruciali però queste stesse persone, per azione di qualche misterioso e miracoloso fattore, all’improvviso si esaltano e danno vita a fenomeni strani, si abbandonano a stravaganze, a follie; in una parola, forniscono materia di studio a un gatto come me.”

Leggendo questo romanzo si trovano lunghe descrizioni, digressioni filosofiche – in cui si destreggiano sia i personaggi umani, sia il narratore felino – e poca, anzi, nessuna azione. Staticità e monotonia emergono pagina dopo pagina:: gran parte della narrazione è ambientata fra le mura domestiche, non ci si può aspettare di più.
Sono però proprio queste due caratteristiche che riescono al meglio a far trapelare ciò che l’autore intendeva comunicare: quanto può essere entusiasmante e dinamica la vita di un intellettuale del primo ‘900, che passa buona parte delle sue giornate chiuso nel suo studio, a indagare sul senso della vita?

La comicità e l’ironia che il simpatico gatto narrante usa per descrivere quanto strambi, contraddittori e superficiali siano gli umani, riescono a far sorridere e, allo stesso tempo, a lasciare quell’amaro in bocca dato dalla veridicità di quanto egli afferma.

Non c’è nulla di più difficile da capire della psicologia umana. Non riesco assolutamente a rendermi conto se in questi giorni il mio padrone sia di cattivo umore, se invece sia allegro, o se cerchi parole rassicuranti negli scritti di qualche vecchio filosofo. Non ho la minima idea di cosa gli passi per la mente, se si fa beffe della società umana o desideri avere qualche ragione banale o ancora se si tenga al di sopra di ogni preoccupazione mondana. In queste cose noi gatti siamo molto più semplici. Se abbiamo fame mangiamo, se abbiamo sonno dormiamo, quando ci arrabbiamo andiamo su tutte le furie, quando piangiamo lo facciamo con tutta l’anima. Tanto per cominciare, non teniamo cose inutili come un diario. Perché non ne abbiamo bisogno. È probabile che le persone che hanno due facce, come il padrone, sentano la necessità di esternare gli aspetti del proprio carattere che non vogliono mostrare a nessuno scrivendo un diario nell’intimità della loro stanza, ma per quanto concerne noi gatti, le nostre quattro posture fondamentali – camminare, stare fermi, stare seduti e stare sdraiati, oltre a urinare e defecare – costituiscono già di per sé un autentico diario, quindi siamo esonerati dalla seccatura di tenerne uno per conservare la nostra identità. Se uno ha il tempo di scrivere un diario, tanto vale che se ne stia a dormire nella veranda.”

Il gatto oscilla tra la filosofia zen, che lo porta a meravigliarsi delle ansie e delle preoccupazioni di cui gli umani sono vittime quotidianamente, e lo scetticismo più puro, che non gli consente di guardare con occhio ottimista al futuro della nostra società.

“È mia opinione che il cielo sia fatto per coprire tutte le creature, e la terra per sostenerle. Nemmeno le persone più polemiche e petulanti possono negare questa verità. Se poi andiamo a vedere quanto abbia contribuito il genere umano alla creazione di cielo e terra, mi pare che non sia stato del minimo aiuto. Che diritto hanno dunque gli uomini di dichiararsi padroni di un luogo che non hanno creato? È vero che nulla impedisce loro di arrogarsi questa facoltà, ma non ne consegue che possano proibirne ad altri l’accesso. Però piantano pali e mettono staccionate sull’immensa superficie terrestre per delineare un terreno e dichiararlo di loro proprietà, e con la stessa impudenza sarebbero capaci di recintare il cielo azzurro e registrarne un pezzo come appartenente a Tizio e un altro spettante a Caio. Ora se è lecita la suddivisione della terra in lotti e la compravendita del diritto di proprietà a un tanto a tsubo (unità di misura del terreno), dovrebbe essere giusto anche dividere l’aria che respiriamo e venderla a un tanto a metro cubo. Visto però che non è lecito recintare e vendere l’aria, perché allora dovremmo considerare legittima la proprietà della terra? Da queste riflessioni sono arrivato a convincermi che posso entrare dove mi pare e piace. Ovviamente evito i posti che non mi interessano, ma quando voglio andare da qualche parte, a nord, sud, est o ovest che sia, ci vado, serenamente e senza pensarci due volte […]Tuttavia noi gatti, per nostra disgrazia, non possediamo la forza fisica degli uomini. E poiché viviamo in un mondo dove vige il detto “la forza dà il diritto”, anche se abbiamo ragione le nostre argomentazioni non sono prese in alcun conto. A cercare di imporle a tutti i costi […] c’è il rischio di assaggiare il bastone del droghiere quando meno ce lo aspettiamo. Quando la ragione sta da una parte e il potere dall’altra, il più debole ha due soluzioni: sottomettersi subito volgendo la ragione in torto, oppure far valere il proprio diritto eludendo la vigilanza del potente.”

Non ci sono altri gatti, a parte Nero e Micetta. Il primo è il grosso gatto di un vetturino che spadroneggia nel quartiere in cui si svolge questo romanzo, si gode i frutti dell’epoca moderna: ha un pelo lucido e un’aria spavalda impensabili fino a qualche tempo prima per un felino di così umile condizione, è aggressivo, volgare e oltremodo ignorante. Di questo il gatto si lamenterà spesso, essendo orgoglioso della propria erudizione. La seconda è una femmina delicata ed affascinante… Al gatto non resta che ripiegare sulle compagnie umane. E qui si scoprono le carte, perché il gatto si rivela essere il narratore della storia, mentre la vera protagonista è l’umanità. La nostra specie viene raccontata da un punto di vista animale, oltremodo severo, ma sicuramente originale.

Soseki spiega l’origine della sapienza del suo narratore quadrupede nella seconda parte del romanzo, quando il gatto dichiara di saper leggere nel pensiero e di captare le informazioni elucubrate dalle menti umane attraverso il contatto fra il suo pelo e la pelle delle persone con cui viene a contatto….


Ho notato che le figure femminili del libro sono tutte relegate in secondo piano.. C’è la moglie del professore, poco intelligente e tanto ignorante da essere spesso presa in giro dal gatto; c’è la serva O-san, insensibile e ottusa, c’è la signora Kaneda, la vicina di casa benestante e altolocata di Kushami, la quale risulta oltremodo arrogante e presuntuosa, c’è Tomiko, figlia dei Kaneda, giovane vanesia e insuperbita; c’è la nipote di Kushami, impertinente e opportunista. Insomma, un campionario di difetti. Credo sia la descrizione realistica della condizione femminile nel “nuovo Giappone” novecentesco. E se le donne non fanno bella figura, gli uomini finiscono per essere aspramente criticati o impietosamente sbeffeggiati dal gatto.

L’ho trovato un libro decisamente troppo lungo, non sapevo cosa stavo leggendo, pensavo si trattasse di un romanzo spiritoso scritto dal punto di vista di un gatto, invece la lettura sembrava più un trattato di filosofia sul genere umano. Ho avvertito anche una distanza fisica di cultura, di tradizioni, ecc. che non sempre mi ha fatto capire se quanto veniva detto fosse da prendere in senso reale, o ironico … Anche la lunghezza dell’enunciazione del pensiero rendeva difficoltoso il proseguire nella lettura.

Le riflessioni del gatto sono interessanti, e offrono molti spunti di domande sulla vita … vale la pena di leggerlo, ma occorre essere preparati e disponibili a questo tipo di lettura.

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Come in altri libri, anche questa copertina non rende giustizia al gatto, che ha il pelo giallo e grigio…

Vicla Sgaravatti

Medico Veterinario

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